Ho scoperto Shiori fra i vicoli di Kyoto. L’avevo già incontrata in un’altra parte di mondo ma non avevo notato quel sorriso e quel suo innocente voler bene in una spontanea normalità. Mi sono lasciato contagiare dalla sua felicità, trasportare dalla sua trasparenza, stupire dalla naturale sincerità. Lei è la descrizione della antica e immutata bellezza di una sorgente calda fra le montagne. Ritrovo Shiori descritta nella poesia tenera e malinconica di un romanzo di Murakami.
Dai suoi occhi orientali scendono lacrime pure e in quel timore nello spogliarsi c’è racchiuso il lato aggraziato e cristallino del Giappone. Shiori è la rossa passione degli aceri in autunno, il candido bianco dei ciliegi di primavera, la rarità di un albero fiorito in ottobre, l’eleganza del Fuji che timidamente si mostra dietro le nuvole. Mi sono innamorato di lei come mi sono innamorato dell’Oriente.
Sono rimasto intrappolato in un armonioso giardino di bonsai, incantato davanti ad un vulcano, ho incontrato la serenità alla vista dell’oceano pacifico. Ho seguito con lo sguardo una ragazza in kimono e mi è sembrata Shiori. Ho aspettato davanti ad un tempio che lei arrivasse a darmi un bacio nascosto e quando mi ha accarezzato, ho sfiorato il cuore di Kyoto. Amandola mi sono lasciato cullare dal sol levante.
Non mi sono abituato a dire addio. Non riesco a salutare a cuor leggero e non credo lo possa mai imparare. Rimane un vuoto ogni volta che saluto una donna e un viaggiatore istintivamente impara a voler bene in fretta perché appena arrivato sa che sta per andare. Con Lei è stato un ciao dolce e amaro, un saionara triste detto col sorriso, un’emozione che rende infelici e vivi nello stesso respiro.
Marco Meini