La schiena curva sulla bicicletta mi duole, ore dopo ore, buca dopo buca.
Le mani sono indolenzite, solo i polsi attutiscono i sobbalzi, ma il tremolio della strada arriva al collo, alle ginocchia, alla spina dorsale. Mi vorrei stirare, poi distendermi, sogno un massaggio o un amaca che coccoli questo bel corpo un po’ affaticato.
Poi smetto di ascoltarmi e mi guardo intorno, le mie piccole fatiche non sono nulla, guardo una nonna vietnamita e mi sento uno sciocco. Mi incanto nel suo cappello a cono intreccio di foglie, riparo dal sole e dalla pioggia, amuleto della vecchia generazione.
La sua schiena sì che è stanca.. le sue mani, non le mie, sono intorpidite.. le sue ginocchia sono dure non le mie in realtà così fresche, così agili. Ha stivali alti, un vestito logoro, una zappa appoggiata alla spalla destra, una piantina di riso nella mano sinistra. Questa signora è l’icona del lavoro, l’incarnazione del sacrificio. Come milioni di persone in questa parte di Vietnam lavora nelle risaie, con i piedi a mollo nell’acqua, la spina dorsale ricurva come un albero tropicale piegato sul mare e la testa esposta al vento e alla fatica.
Ripete gesti trasmessi nei secoli, su campi che sembrano aver visto solo riso e riso dalla nascita dei tempi. Sudore e dignità, sudore e necessità.
Io non ho più male, mi sento riposato nel solo vederle queste donne così provate e così oblique, così forti da sorreggere sulla schiena il futuro del loro paese.
Io solo piuma rotolante, loro più di me colonna portante.
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