Faranah, cittadina nell’interno della Guinea Conakry. Quello che doveva essere il giorno di riposo diventa un’intera settimana di malaria che ci prende ad entrambi. Per fortuna a qualche giorno di distanza l’uno dall’altro, così il malato ha sempre l’altro ad accudirlo.
Quando è il mio turno da infermiere vago per il quartiere del nostro alberghetto. Divento amico di Momedi, proprietario di una piccola bottega, che mi regala qualcosa ogni volta che vado a comprare da lui, e mi chiede notizie sulla salute del malato.
E mi affeziono a un bellissimo bambino, Adamà, che a differenza degli altri bimbi non si mette a piangere per l’uomo bianco barbuto, ma anzi mi sorride e mi corre incontro. Sta con la sua giovanissima mamma nel suo ristorantino in una baracca fatiscente; mentre ‘Enfant’, così si fa chiamare il suo papà, ha una moto e fa il tassista.
In un paio di giorni Gio migliora, ma io al contrario inizio a sentire i primi sintomi, e così le mie passeggiate in quartiere calano.
Il piccolo Adamà non mi saluta più, ha il sorriso spento. ‘Ha la malaria’, mi dice la sua mamma, ma non hanno i soldi per le medicine.
La mia malaria, nonostante le cure, inizia a farsi sentire più forte, con febbre alta, stanchezza, mal di testa. La malaria è un male bastardo, perché il tuo corpo è senza difese, perciò apre le porte ad altri mali, infezioni, parassiti. Che giorni inutili quelli da malati, così doloranti, stanchi, apatici. La testa non funziona, i pensieri diventano basici, stupidi, paurosi, ripetitivi.
E il pensare a tutti i miei dolori dentro il corpo di quel bambino mi fa ancora più male; provo il suo fastidio immaginando le condizioni che avranno a casa loro, e il fatto che non abbia ancora preso medicine, neanche per abbassare la febbre.
Il giorno dopo saltano fuori le medicine e lentamente il piccolo inizia a stare meglio. Enfant mi racconta di non essere lui in realtà il padre. Il papà era suo fratello, che partì per cercare fortuna in Europa quando la ragazza era ancora incinta. Ma di fortuna non ne ebbe alcuna, perché il suo viaggio finì per sempre nel mezzo del Mediterraneo. ‘Per questo lei è così triste. Ora faccio io da papà ad Adamà, perché siamo tutti una famiglia’. Alla mia stupida domanda sul perché diavolo l’avesse fatto, lui mi risponde ‘perché da voi si sta meglio, ci sono i comfort’.
Non voglio scendere in patetismi, né tantomeno in questioni politiche. Anche perché risposte non ne ho. Così come non ne avevo da dare ad Enfant, per cui rimasi muto, con mille pensieri sconnessi e altrettanti sentimenti contrastanti: rabbia, tristezza, sdegno, pena. Li ingoiai tutti, insieme a quel sapore amaro che lasciano le compresse antimalariche. Un sapore schifoso.
Gratitudine. Per i giorni inutili, le fortune ereditate e i privilegi non meritati. Ho deciso di tenere solo quel sentimento e tenerlo bene a mente. Per quando torno in salute. Per quando tornerò a casa.