Lo ammetto. Tante volte in viaggio facciamo cose che a casa non ci sogneremmo mai di fare. A volte lo abbiamo fatto senza neanche rendercene conto, e solo a posteriori, o guardando le reazioni della gente, ci viene da ridere e capiamo quello che stiamo facendo.
Come piantare la tenda nella piazza principale di un qualche paesino nel nord dell’Argentina, senza chiedere niente a nessuno; oppure entrare in un ristorantino in Bolivia, ordinare solo un caffè e apparecchiarci la tavola per fare merenda con tutto quello che abbiamo nelle nostre borse.
O prepararci la colazione con tanto di fornello nella hall di un albergo tra gli sguardi allibiti degli altri clienti, a cui noi rispondiamo a mani aperte, come a scusarci.. “Sá, siamo stranieri..”
O abbracciare e baciare una cameriera solo perché guarda affascinata e curiosa due clienti stranieri nel suo tavolo.
“Giocare la carta dello straniero”, così la chiamava Chris, nostro compagno di pedalate in Sudamerica, quando facevamo qualcosa fuori dalle regole, e al richiamo di un guardiano o poliziotto rispondevamo con sguardi supplichevoli e complici, “ci scusi, non siamo di qui, non lo sapevamo”.
Lo straniero può, è vero. Però.. Però ci sono altre cose che stiamo lentamente imparando a non fare.
Per esempio a non giudicare genti e culture diverse con i parametri della nostra società. E capire che frasi del tipo “questi sono indietro di 50 anni” oppure “ce la faranno anche loro prima o poi” sono assolutamente prive di senso. Ovviamente il punto non è non pronunciarle, bensì capire da dove abbiano origine. E cioè che anche senza volerlo diamo sempre per scontato che la nostra cultura, capitalista e occidentale, sia la vincente, la migliore. E di conseguenza che i nostri risultati debbano essere l’obiettivo degli sforzi di questi Paesi del cosiddetto sud o terzo mondo.
Il passo successivo e conseguente del nostro approccio è quindi quello di non dare, a meno che non siano espressamente richiesti, né consigli, né aiuti. Perché anche questi sarebbero dettati ancora una volta dalla consapevolezza della nostra presunta superiorità. E inoltre perché non si considera il fatto che trapiantare le nostre idee in contesti che non conosciamo possa portare a risultati decisamente controproducenti.
È un cammino lungo e non facile, sono sincero, perché se per una vita intera hai visto le cose funzionare in un certo modo, è difficile trovarsi catapultati in un’altra realtà, trovare che le cose, secondo i tuoi occhi, non funzionano, e non dire niente, non fare niente.
Noi ci proviamo, con pazienza, con molti errori, ci mordiamo la lingua, ci schiaffeggiamo le mani.
Continuiamo a piantare la tenda nei posti più improbabili e a portare il nostro cibo al bar, poi però cerchiamo di non lasciare niente indietro. Solo guardare, ascoltare, conoscere, e riprendere la bici, leggeri.