Centinaia e centinaia di chilometri di giungla fitta e rigogliosa. Il gracchiare di un uccello, l’urlo di una scimmia, il fruscio di un serpente. Con la bici carica su una strada a tratti sterrata sono diretto verso l’estremo finale messicano, dentro il mar del Caribe, a poche leghe da Cuba. Un traghetto per soli passeggeri mi porta sull’isola di Holbox.
Sul molo dove attracchiamo una scritta nera a ricordarci di non sporcare l’isola, di non contaminarla. Su quest’isola non ci sono strade asfaltate e questa semplice peculiaritá é il suo tratto distintivo. Le strade sono piste di sabbia, anzi di polvere e fanghiglia grigia sotto le ruote di scooter e golf car. E’ periodo di pioggie, notturne e abbondanti, diurne e possenti. Le strade si allagano, la sabbia non riesce a drenare, il livello dell’acqua si alza entrando nei cortili delle case povere e nelle abitazioni di cemento e paglia. Holbox é una lingua stretta di spiaggia e foresta tropicale, vulnerabile in questa stagione di uragani, fragile in questa epoca di turismo globale. Fino a una ventina di anni fa, la abitavano solo pochi pescatori che puntualmente scappavano sulla terra ferma all’arrivo delle perturbazioni peggiori. Poi l’industria del turismo é arrivata fino a questo ultimo paradiso incontaminato, casa di fenicotteri rosa, di delfini e squali balena. Regno di limuli e coccodrilli. Quel che nessun ciclone é mai riuscito a distruggere in millenni, c’é riusciuto il turismo in dieci anni.
Il sistema fognario é praticamente inesistente cosí ora le acque nere dei quasi tremila turisti giornalieri si mescolano alle acque della laguna interna e alle acque piovane confluite sulle strade. Tutto inevitabilmente finisce nel mare non piú trasparente. Gli amministratori locali si stanno ora chiedendo come migliorare le infrastrutture, senza danneggiare l’autenticitá di questa terra, in cui un dialetto maya é ancora la lingua parlata da tutti.
Alcuni nel nome del Progresso vedono grazie alla pavimentazione a alle fogne la fine del flagello delle zanzare e all’ignobile fango alle caviglie. Questi sono i proprietari di Resort e ristoranti.
Altri vorrebbero meno turisti, qualche fogna ma sentieri di sabbia. Siamo su un’isola dicono. Questi sono i pescatori locali e i nostalgici.
Il sindaco vuole invece lasciare tutto cosí. Le casse del comune sono vuote.
Io non so bene con chi schierarmi, ma intanto sorrido pensando a uno stradello sterrato tra mare e pineta, tra ghiaia e fango, tra interesse privato e pubblico, proprio come nella nostra amata Marina di Ravenna. E cosí nostalgicamente questa Holbox messicana mi pare un po’ meno lontana.