C’è una parte di Mozambico che t’innamora.
È quella dei bambini, dai sorrisi lucenti, che ci inseguono con una meraviglia curiosa negli occhi, increduli. Che giocano con poco e sono felici con ancora meno. Che puzzano di sudore stantio mischiato a polvere e terra, ma hanno il profumo della genuinità.
È quella dei ragazzi, gioiosi e spensierati, che ci accolgono sempre con benvenuti calorosi e ci assaltano con le loro mille domande, spesso ingenue, sul nostro viaggio.
È quella delle donne, che ci spiano con occhi bellissimi, scintillanti di una malizia primordiale. Che ridono di felicità al nostro passaggio, e che gridano ancora più forte se rispondiamo a un saluto o mandiamo loro un bacio con la mano.
Poi c’è un’altra parte di Mozambico, che ti tira fuori tutta la rabbia e l’odio.
È quella delle violenze e delle discriminazioni. Delle violenze di genere, così assurdamente frequenti e diffuse, perpetuate da mariti costantemente ubriachi su donne così inermi che persino quando hanno il coraggio di rivolgersi alle autorità si sentono respingere con dei laconici “torna a casa, è normale, non lo farà più”.
Delle discriminazioni contro le minoranze o i più deboli, come nel caso degli abusi subiti dagli albini.
È quella della corruzione e degli abusi di potere. In ogni ambiente pubblico e a qualsiasi livello.
Si corrompono ovviamente i politici, per avere lavori e concessioni, i funzionari pubblici per avere documenti o condoni. Si corrompono i poliziotti in strada e alle dogane, i medici e gli infermieri per avere cure o medicinali.
Si corrompono persino i maestri delle scuole elementari! 50 o 100 meticais (circa un dollaro) per avere una copia del testo dell’esame qualche giorno prima della prova.
E di conseguenza quasi niente funziona, perché il denaro pubblico è sperperato e il tempo privato è sprecato.
È infine la parte dell’ignoranza e delle credenze.
Che non fa curare un bambino malato di malaria o tbc e lo lascia morire perché il curandero, il medico tradizionale, ha detto che quel male è un’eredità dei suoi antenati, e non si può intervenire.
Che manda un fetiso, un malocchio, a un ragazzo, perché ha le capacità e possibilità di proseguire gli studi. Ma è l’unico della comunità e ciò crea disequilibri e invidie.
Non c’è niente da fare, queste due parti coesistono e forse continueranno a farlo per sempre. Non posso farci niente, continuo a ripetermi, non è il mio compito.
Così ingoio un’altra goccia di saliva di quel gusto che mischia il dolce e l’amaro. Miele e bile.
Sarà questo combattuto sentimento ciò che chiamano Mal d’Africa?