I bikini di Santa Barbara. I cocktail di Malibu’. Gli hamburger di Santa Monica. I party di Beverly Hills. Noto tutto questo vicino alla mia rotta, ma non sono la mia direzione, non ora almeno. Ho un vecchio presentimento, quello in cui in mezzo alla folla si rischi di incontrare nessuno. Entro in un canyon duramente in salita che mi conduce verso un deserto in altipiano.
Le prime notti in quello stepposo nulla sono subito accolto dalla bella gente della California isolata. Ci scambiamo storie e acqua, esperienze diverse per stesse emozioni. Al terzo giorno entro nella grande riserva dello Joshua Tree in cui il Mojave desert abbraccia il deserto del Colorado.
Il caldo diventa sempre piu’ forte nelle ore centrali del giorno, ma sopportabile all’alba e al tramonto. In quell tempo pedalo e sorrido, ringrazio e canto, osservo e imito quell´albero di Joshua, implorante a mani alte come il Giosue’ biblico rivolto verso il cielo.
Al calare delle energie trovo la pace. Ma devo ancora uscire dai deserti. Due ore di mattutina discesa mi procurano una allegria smodata, amaro preludio di sofferenza. Per ritornare sulla costa, verso la civilta’, devo attraversare l’ultima prova: il sabbioso Anza Borrego Desert. E’ il mio quinto giorno in quei luoghi inospitali. Avro’ abbastanza acqua? Le temperature superano I 50 gradi sull’asfalto. Il vento contrario caldo e secco sferza sabbioso sul mio viso bruciato. Avro’ abbastanza cibo? Percepisco un senso di precarieta’ del mio essere cosi’ normale in mezzo a una natura cosi’ atipica. Vibro di timore assaporando la mia fragilita’ consacrata dal sangue al naso e dall’arsura nella gola. Mi agito dinanzi a questa sfida rovente con me stesso, lanciato verso il mio limite, stremato e insonne.
Un uomo in jeep mi chiede: `Vuoi acqua o un passaggio? La fine dell’inferno bollente e’ a soli venti km.` Accetto l’acqua ma il mio orgoglio rifiuta il passaggio. Testardo e cieco continuo. Esausto, scoraggiato e caparbio. Un’ora dopo mi sono mosso di poco, steso sotto un cespuglio coperto di api che mi succhiano il sudore, senza cibo e pensieri lenti.
Un’altra auto..Lui scende, vede la sofferenza nel mio sguardo basso su una barba sporca. `Vuoi un passaggio mi chiede. Dieci minuti e sei fuori di qui.`
Ho chiuso gli occhi. E ho detto: Si’.
Quel si’ cosi’ faticoso e’ stato lo chapeau al deserto, l’inchino a chi ti insegna l’umilta’. E’ stato un si’ lottato che mi ha insegnato ad apprezzare la sconfitta. Dopo cinque giorni di deserto quella mia resa a pochi passi dal traguardo mi ha presentato chi non pensavo di incontrare. Ho incrociato il mio Io, nudo dalla sua presunzione, leggero senza la corazza dell’orgoglio, spogliato del superfluo. Quel superfluo che e’ la paura del nostro limite.
Ho ringraziato e poi ho pianto. Ho pianto alla vita e alla sua bellezza. Ho pianto a quel tutto che si puo’ incontrare dove si crede ci sia il nulla. Ho pianto di gioia facendo uscire il deserto arido dalla mia mente ostinata per farlo rientrare come deserto rigoglioso nel mio cuore capiente.
Ora sono solo io. Un piccolo deserto dai grandi limiti.