Nel ventunesimo secolo viaggiare è facile e alla portata di tutti. Online si prenota qualsiasi cosa fino a pianificare la vacanza al minimo dettaglio.
In questi anni però ho preferito tracciare una rotta su una mappa di carta e affidarmi al caso. Mi continua a piacere l’idea di entrare in una piazza di una città sconosciuta e vedere le reazioni della gente davanti allo straniero. Mi siedo in una panchina con la bici affianco e mentre mangio un panino aspetto che succeda qualcosa.
Potrei definirlo il mio test sull’ospitalità di un popolo.
In alcune nazioni venivo benevolmente accerchiato, in altre ignorato, a volte osservato a distanza con curiosità, poche volte con sospetto, quasi sempre con una normale diffidenza.
Ora mi trovo nel Brasile del Sud e questo gioco mi ha mostrato un paese non così aperto come mi aspettavo. La generale insicurezza in cui versa il paese, colpa di una disparità sociale notevole e percepibile ovunque fa sì che il brasiliano non apra facilmente le porte di casa a uno sconosciuto. Io però avendo bisogno della loro protezione notturna e desideroso di rompere le barriere, li ho aiutato o potrei dire li ho indotti all’ospitalità.
Trovandomi in zone non proprio tranquille ho spesso chiesto di poter montare la tenda nei loro giardini. Il loro iniziale rifiuto si trasformava presto in un ponderato assenso trovando nei nostri sguardi una innocenza palese. Puntualmente poi nel giro di pochi minuti si lasciavano andare aprendo a pieni battenti le entrate del loro cuore e della loro dimora. Oltre al giardino quindi mi offrivano un letto, una cena e una birra. Io ricambiavo con alcune storie in quella lingua post latina tra il portoghese lo spagnolo e l’italiano. Così con un piccolo aiuto anche il Brasile ha superato il mio test sull’ospitalità, ma continuo a pensare che in principio sia sempre meglio fidarsi anziché diffidare.
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