La libertà nella sua accezione più semplice esprime la capacità di poter scegliere il luogo in cui andare. La libertà di movimento è la prima a venir tolta al colpevole una volta incarcerato o al sospetto pericoloso in via precauzionale. Noi tutti invece ci sentiamo liberi di muoverci sempre e ovunque, come rondini. In questi sei anni di libertà in viaggio però, mi sono sentito a volte come una barchetta in balia di onde più grandi, impotente.
È una sensazione che ho provato sovente in quei non luoghi tra quattro mura chiamate Ambasciate. Nonostante avessi in mano il passaporto meno discriminato e più accettato al mondo: il passaporto europeo.
La prima porta chiusa la trovai in Afghanistan e Pakistan. Il rifiuto recitava: “incapacità di garantire la sicurezza dei turisti causa instabilità politica”. Qualche migliaio di chilometri oltre, il regime della Birmania mi offrì lo stesso rifiuto, in quanto una bicicletta è troppo libera e quindi incontrollabile. Il regime vuole il controllo totale. Un anno dopo, la Corea del Nord non prese neanche in considerazione il nostro possibile transito dalla Siberia alla Corea del Sud. Il dittatore ammette solo gruppi organizzati, obbedienti e ordinati. E io non sono uno Yes Man. Finalmente le Americhe, piacevole oasi di libertà almeno nel movimento. Piacevole per noi europei. Possiamo andare ovunque, anche nel Venezuela stremato o nel Salvador arrabbiato. In ultimo l’Africa. Le burocrazie in ambasciata si complicano, le carte da presentare aumentano, gli inutili timbri moltiplicano.
Il primo Alt ci è arrivato dalla Repubblica Democratica Congo. L’ebola e la guerriglia, le scuse ufficiali; la più grande ruberia mondiale di risorse naturali la triste verità. Poi la Nigeria per il classico cavillo da ufficio, il visto ci sarebbe garantito solo dal nostro paese di origine, ma non dal Camerun dove ci troviamo.
Ora, sorvolata la Nigeria, la strada verso l’Italia sulla carta non sembra troppo complicata. Dal Marocco, Sahara permettendo, con un traghetto e un passaporto “giusto” entreremo in Europa.
Già un passaporto “giusto”…
Non riesco ad immaginare come sarebbe stato questo giro del mondo con un passaporto africano, ma ho l’impressione che avrei trovato molte più porte chiuse. Definitivamente troppe porte chiuse.