Le gambe sono allenate e il cuore non è affannato. Ma sono stanco.
La schiena si è abituata a dormire per terra e mi sembra di sognare meglio. Eppure sono stanco.
Ho un solo paio di scarpe, un jeans e una maglietta; una tenda un libro e una bicicletta. Il bagaglio non sembra pesare tanto, però sono stanco.
Scendo un attimo dalla bici e la appoggio in un angolo provando a dimenticarmene. Sfoglio il diario ritrovandomi al giro di boa. Davanti a noi spero altri mille di questi vagabondi giorni. Fermiamoci un attimo dunque. La testa è esausta come sovraffollata di odori intensi, dove il profumo è difficilmente distinguibile dal fetore.
Le immagini si sovrappongono caoticamente nei pensieri e sul viso di un bambino giapponese ci scorgo una folta barba bianca indiana. Allora respiro, mi adagio comodamente su un divano, privilegio dimenticato e faccio ordine. Con gli occhi chiusi rivivo l’Asia attraversata, dalle porte del Bosforo all’Oceano Pacifico e sorrido.
Saluto con un abbraccio questo continente così magicamente multietnico, profondamente ospitale e drammaticamente intenso. Le genti, soprattutto le genti affollano dolcemente i miei ricordi. Perché molti viaggiano per vedere luoghi. Io viaggio per incontrare persone. Per scambiare con loro qualcosa. Energia prima di tutto. E in questa meravigliosa transazione di emozioni ho conosciuto, ritrovato e poi perso. Io come una bussola disorientata, attratta dal magnetismo di ogni singolo essere vivente.
Io buddista, ateo e cristiano. Tu vegetariano, alcolista e onnivoro. Lui orientale, nero con gli occhi lucidi. Noi ricchi, senza tempo e homeless.
Io stanco, stupido e mai sazio.