Siberia sotto i ponti..pubblicato su Ravenna&Dintorni

Ventinove giorni di Siberia. Ventinove giorni non facili.
Siamo entrati via terra dalla Mongolia, poco più a Sud del lago Baikal e siamo arrivati a Vladivostock dove l’oceano senza fatica ha fermato la nostra stremata corsa. Non eravamo pronti a così tanto vuoto solitario.
Vladivostock nell’estremo Est russo regala un’immagine diversa dalla Siberia interna. Con il suo gigantesco porto e una modernità di facciata è sicuramente affascinante. Ma le migliaia di chilometri per arrivarci sono un immenso nulla, di sterrato e foreste, di torrenti e case di legno stanche e retrò: le Izbe.
Ho fatto fatica fra quelle terre monotone alla vista, le sue salite irrazionali hanno fiaccato le gambe e anche il verde ripetuto all’ennesima, taiga dopo taiga, mi ha logorato. Ho vissuto per venti giorni sotto i ponti dell’unica strada percorribile, parallela per lunghi tratti alla Transiberiana. Sotto i ponti per proteggermi dagli improvvisi temporali, sotto i ponti perchè c’era acqua da bere, sotto i ponti per nascondermi alla vista degli innumerevoli ubriachi, buoni ma imprevedibili. Sotto i ponti perchè non c’era altro.
Ho rincontrato inaspettatamente i bianchi di origine caucasica, dopo un anno di etnie orientali. Ho visto uomini fare colazione con la vodka e li ho rincontrati il pomeriggio, ma non erano più loro. Sconsolato ho provato pietà e senza giudicarli ho provato ad abbracciarli. Loro si sono inchinati, miserabilmente allegri e un attimo dopo seri e tristi come i Karamazov di Dostoyesky. Li ho lasciati soli prima che l’allegoria si trasformasse in una scena pulp, l’alcool ovunque sembrava mettere tensione nei miei occhi sobri.
Sono tornato nella taiga e nei villaggi semi abbandonati dove il socialismo ha promesso o forse scommesso e poi si è ritirato.
Il visto è scaduto, sto uscendo dal paese. Dasvidania Russia, mi hai lasciato un sottile velo di angoscia, la stessa sensazione che ho provato al risveglio dopo una serata ubriaca.

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