Un uomo cammina scalzo fra le strade di Pai in mezzo ai monti della Thailandia del Nord.
Si avvicina salutandomi gentilmente, ha un cesto in legno pieno di riso bianco mango e uova. Non ha fretta di vendere, sembra che il suo bioritmo regolato dal sole e dal canto dei galli mattutini si muova più calmo, come se tutta la giornata fosse una lunga meditazione yoga.
Mi indica la strada per scoprire il suo villaggio, costeggio il fiume camminando sull’argine basso e un mulino ad acqua in bamboo taglia l’orizzonte. Il suo costante roteare lento e circolare sembra in sintonia con i lavoratori dei campi alle sue spalle. Seduto dietro una siepe osservo questi uomini ricurvi, intenti a lavorare in una preziosa risaia, sostentamento di tutta la comunità. Lavorano in tanti, senza trattori, con un falcetto in mano e un cappello a cono in testa, il loro movimento a inarcare la schiena è ritmico e se fosse una musica sarebbe un Adagio di un pianista, senza crescendo, senza tamburi, senza sorprese.
Poco più in alto sul colle, a proteggere questi incredibili e umili agricoltori, vigila il tempio. Lo sguardo dei monaci è saggio, la loro fede sembra sincera, intonano un canto, quasi un mantra ripetuto mentre camminano uniti ma solitari attorno al monastero.
Scendo la scalinata, due cani si accoppiano liberi, un vecchio dorme su una sedia, una bimba gioca con un gatto là dove alcuni muratori miscelano l’acqua al cemento, pala dopo pala, mattone dopo mattone.
Ci vorrà del tempo per costruire questa casa, per essiccare questo riso, per scoprire i segreti di questa fede, ma d’altronde se lo facessero più veloce…sarebbero più felici?
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