Faccio colazione come sempre con pane marmellata e caffé. Una signora messicana si avvicina e mi guarda strano. Mi chiede: “Mangi solo quello per colazione?” Sí le rispondo, con un paio di banane. “Que raro!” sussurra. Noi mangiamo al risveglio uova con carne e fagioli, zuppa di pollo, tacos di maiale stufato, formaggio fresco e cipolle.
Io rido, ricordandole che il giro del mondo in bicicletta lo voglio fare in sei anni e non tutto in una mattina! Lei borbotta qualcosa e io salgo in sella, proprio mentre il maiale da cortile fino a ieri legato a un albero e all’ ingrasso, sta per passare sotto il coltello e poco dopo in pentola. Macellato lí in giardino, proprio come faceva mio nonno.
Sono chiaramente uno straniero anche qui, loro con al massimo due bafetti ed io invece una fitta barba incolta che incuriosisce i bambini e poi li spaventa. Un’auto mi si affianca e il conducente dopo avermi fissato un attimo mi chiede: “ Scusa ma questa strada dove va?” Io europeo, con una mappa sul manubrio a dar indicazioni a un messicano dietro a casa sua. Gracias, mi dice sparendo dietro una nuvola di polvere, dentro la sua auto nuova forse nella sua prima volta lontano dal villaggio.
Rimango solo, vicino a fiumi marroni di terra che scendono ricchi da montagne verdi. Qua e lá qualche indio piccolo e magro. Alcuni asini trasportano la legna e uomini su biciclette a tre ruote cariche di ghiaccio per granite o patate dolci aspettano i ragazzi all’uscita di scuola. L’Indio dei villaggi ha ancora un piccolo sombrero in testa, una perenne bottiglietta di CocaCola in mano, una amaca nel salotto, una tortilla sulla tavola. Lo sento discutere di política per un poco, poi se ne dimentica. Preferisce giustamente pensare al pranzo, cosí torna verso i campi e in quel tragitto breve dal paese al fiume lo vedo inginocchiarsi davanti a una Chiesa. Un segno della croce bisbigliando una parola e la sua giornata riprende, miserabile all’alba, mistica al tramonto.