Mi chiedo se Giulio Natta vedendo ciò che noi viandanti troviamo ogni giorno per le strade, proverebbe ciò che un secolo fa provò Alfred Nobel, quando un necrologio scritto per errore lo accusava di essere un mercante di morte, invece che un grande inventore.
Mi immagino l’ingegner Natta mentre passa come noi attraverso le tonnellate di plastica che le città rilasciano dai loro sfinteri nelle periferie. Cosa ne penserebbe lui, uno dei padri inventori della plastica, al vedere cosa ne abbiamo fatto della sua geniale creazione?
Si metterebbe le mani nei capelli? Si dispererebbe come il signor Nobel, che elaborò nel suo testamento l’idea dell’omonimo premio, per pulire la sua coscienza dinamitarda?
Ciò che mi infastidisce ancora di più è che il ricco occidente porta le sue innovazioni, come la plastica, nel sud del mondo, senza alcun libretto di istruzione e manutenzione. L’importante è l’affare. Il grande affare di oggi. Scordando sempre il disastro di domani.
Dall’altra parte però scopro con piacere che sono alcuni Stati africani ad essere all’avanguardia, proibendo senza eccezioni l’utilizzo di borse di plastica nei loro mercati: primo fu il Rwanda, nel 2006, seguito dal Senegal, e infine quest’anno anche dal Kenya.
Semplicemente vietati, punto. Mentre in Europa si redigono accuratissimi bilanci annuali su quanto si produce, quanto si ricicla, quanto si recupera ovvero quanto si brucia! Tutto sempre con grande attenzione a non danneggiare il produttore. Perché quello è sacro.
Mentre il mare non lo è più. O così sembra, visto che nel solo Mediterraneo vomitiamo ogni giorno più di 700 tonnellate di plastica.
E neanche gli oceani lo sono più. Visto che la sola Garbage Patch del Pacifico Settentrionale è stimata attorno ai 3 milioni di tonnellate di sola plastica.
Nemmeno l’acqua che beviamo lo è più. Perché recenti studi della Orb Media di Washington mostrano che le microplastiche, in parte derivanti dai tessuti sintetici, sono persino lì.
Non lo sono nemmeno i campi, i boschi, i parchi. Perché i viandanti lasciano buste di plastica e rifiuti anche lì.
Spesso mi contestano che senza le istituzioni e le leggi, il cittadino singolo possa fare poco e niente. Vero. Però penso che tutti insieme si possa creare una opinione pubblica capace di spingere la pesante macchina burocratica.
E nel frattempo, anche se mi dicono che una busta in meno non salverà il mondo, continuo a ripetermi la frase di un piccolo grande uomo che veniva dall’India: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Poi chissà che qualche matto arriverà a pensare che si possano addirittura raccogliere tutti i rifiuti che galleggiano nell’oceano. Ah sì! C’è anche questo folle: il visionario americano Bryan Slat, che ha appena fondato l’impresa Ocean Cleanup, per realizzare la sua missione.
Allora arrivo ad essere quasi ottimista, pensando che le soluzioni esistano e siano realizzabili, ma dobbiamo metterle in atto in fretta, ognuno nel suo grande o piccolo mondo, prima che questa dinamite ci esploda tra le mani.