E’ notte. L’accoglienza indiana è uno schiaffo forte e deciso in faccia. E’ uno schiaffo per svegliarci, è uno schiaffo non violento, ma sicuramente non dolce. Ricordo ancora sulla pelle la sensazione tattile della prima pedalata a Delhi, un caldo opprimente, un’umidità soffocante.
L’India con questo suo tocco deciso ci avverte che è la stagione sbagliata per ciclovagare, qui è ancora la natura che detta i ritmi, che impone le proprie regole. Paghiamo presto dazio per questa scelta coraggiosa e incosciente: un bagno di sudore costante, le energie a terra e ogni tanto una doccia monsonica, diluvi che ci sembrano immersioni, quindi impariamo a nuotare pedalando e a lottare con le zanzare.
Si fa giorno, ci trasciniamo verso New Delhi, è il caos. I rumori ci assalgono, ci ipnotizzano, a volte c infastidiscono. Le strade sono fiumi in piena di risciò taxi a motore o a pedale, qualche camion, per fortuna poche auto troppe care per i più. L’uso del clacson è costante, serve a segnalare la propria presenza. Alle nostre orecchie un concerto Buskers di bidoni di latta, campane stonate e frenate improvvise. Poi il canto soave di un uccello mai visto che danza vicino a scimmie giocherellone.
Usciamo dal traffico, siamo pronti all’arcobaleno di colori che si staglia davanti ai nostri occhi. I vestiti delle donne sono sfavillanti, gialli verdi rossi con brillantini e tatuaggi affascinanti di henne nelle mani. I santoni indù vestono sari di un magnifico arancione intenso, gli uomini al lavoro portano sulla testa turbanti arrotolati di un rosso acceso, rosso sangue. Sui carretti cataste di frutta, gialle le banane, verdi i mango non maturi, rosse le papaye pronte, viola le melanzane. Poi sfumature in tutte le tonalità, sono le spezie nei bazar e i tendaggi di seta dei negozi a bordo strada.
Giriamo l’angolo e sono gli odori a nausearci, discariche a cielo aperto ovunque, in mezzo alle città così come nei fossi. L’odore è acre, rancido, marcito al sole e si mescola con fragranze peggiori, quelle degli animali morti, delle fogne putride, del letame di mucca che qua e là sembra l’unico manto stradale. E poi il piacevole profumo di Viola, Rosa e Sandalo rinfresca le nostre narici. Siamo vicini a un venditore ambulante di incensi e olii essenziali, ridona vigore all’aria come un miracolo e risorgiamo.
E’ ora di pranzo, lo stomaco spesso sotto stress sembra pronto alla cucina indiana, ordiniamo un Tali, piatto unico composto da riso bianco con quattro diversi condimenti serviti a parte. Domina il giallo del curry, così nei fagioli in salsa come nel cavolo lessato. Un po’ di pollo con spezie masala e una ciotolina di verdure con yogurt bianco. Le papille gustative si infiammano, gli occhi diventano lucidi, il naso inizia a piangere. La bocca è presto una fornace, fatico a descrivervi i sapori che seppure gradevoli sono uccisi dalla nota più forte, il fuoco piccante del peperoncino e curry. E’ il momento del Lassi, la bevanda indiana fresca e dolce che come un elisir ristabilisce la pace nel nostro palato.
Welcome to India, dove non tutto ciò che è sensuale è anche piacevole. Qui i cinque sensi si destano, provano l’ebrezza del sorprendentemente gradevole e incredibilmente disgustoso.
Welcome to India, terra dei sensi.
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