Il sole era ancora alto alle cinque del pomeriggio nel Sud del Sichuan, grande regione della Cina centrale. Avevamo ancora tempo, ma già da sei ore pestavamo rabbiosamente i pedali su salite senza mai fine e il contachilometri per di più segnava 102 chilometri, abbastanza per un dì normale di viaggio.
Da qualche giorno stavamo pedalando nella corsia di emergenza della nuovissima autostrada ancora poco trafficata. La vecchia statale era impercorribile, tutta fango e ciottoli, più cantiere che sentiero. Erano proprio i poliziotti che ci consigliavano di seguire la “Gao Lù”, la strada grande.
Quella spettacolare opera civile scorreva veloce in una vallata stretta, quasi un canyon. Si snodava letteralmente sopra il fiume, tanto poco era lo spazio, con i piloni direttamente nell’acqua. Le pareti delle montagne ai nostri lati parevano verticali e la roccia era nascosta da una fitta giungla. Cascate, innumerevoli, si gettavano verso di noi, arrivando fino a bagnare le bici. Quelle terre parevano pregne d’acqua, ogni caverna era il letto di un fiume sotterraneo che qua e là trovava luce, e allora si rovesciava in un muro d’acqua rumoroso fino al fiume sottostante.
Cercavamo stanchi e sereni qualche metro in piano per poter campeggiare quella notte. Trovammo un sentierino ripido oltre il guardrail che scendeva sotto il cavalcavia, fino al fiume affianco al vecchio cammino. Alcune case, brutte, di un villaggio abitato e dimenticato erano poco più avanti. Iniziammo a montare la tenda in un minuscolo spazio non coltivato. Arrivarono dei bambini, i più curiosi, ci guardarono stupiti e sorridenti. Erano gli apripista dei genitori, che arrivarono poco più tardi, a conoscerci e fotografarci.
Comunicare in questa remota parte di Cina è quasi impossibile, noi abbiamo imparato qualche parola ma la intoniamo male, cambiandone il significato mentre loro giustamente ignorano l’inglese, d’altronde perché dovrebbero saperlo.
Ci lavammo nel fiume, come sempre, e il riso contagiò tutti: un uomo “bianco” ricco o povero che si lava laddove loro non oserebbero! Un signore un po’ alticcio ci offrì una birra calda e una zampa di gallina piccante dal gusto direi particolare. Una signora ci invitò a casa sua per la notte ma la tenda era ormai montata, ricambiammo però la gentilezza facendole provare i nostri spaghetti con pomodoro e tonno. Li assaggiò ma anche senza parole capimmo il suo disgusto. Ridevamo.
Le auto scorrevano veloci sopra di noi, nella nuova Express-Way. “Chissà dove vanno questi Suv così veloci” parevano domandarsi gli abitanti di quella Cina dimenticata. L’autostrada aveva completamente tagliato fuori dal mondo questo paesino, sembravano relegati alla vecchia via, allo sterrato, al cavallo, al cesto di bambù giallo portato sulle spalle, in lentezza.
Arrivò il buio, scivolammo nel sacco a pelo ascoltando la pioggia che arrivava in un lampo e poi spariva.
Al risveglio mi ritrovai a scegliere la strada da fare, se la nuova, così moderna, così prevedibile come la Cina del domani; oppure la vecchia, così multicolore, così abbandonata come la Cina che era ieri..
Il giorno prima avevo volato nel futuro in tunnel sospesi e asfaltati a nuovo, quel giorno invece nostalgicamente scelsi di scivolare nel passato.
Ma l’indomani dove sarei stato?
Domani, credo, come un miliardo di laboriosi cinesi, mi aggrapperò al presente, che è proprio lì nel mezzo, a metà strada, come sempre in evoluzione.