Davanti a me il mare, placido nell’ora del tramonto e a poche leghe dalla costa un vulcano abbraccia la vista. Mi trovo nella baia di Kagoshima, a Sud dell’isola di Kyushu, la terza più grande dell’arcipelago giapponese. Il vulcano Sukurajima sovrasta la città e ne è l’emblema come il Vesuvio per Napoli. Il suo fumo dopo l’esplosione è un messaggio fraterno, significa “scusate ma lo farò ancora”. Il Giappone trema. Piccoli o devastanti terremoti accompagnano l’esistenza di questa gente di mare.
Il loro ordine mentale e il rispetto civile che dimostrano gli uni con gli altri mi affascina fino ad imbarazzarmi. L’inchino verso il prossimo è nella via tra il “grazie” e lo “scusate mi dimetto da voi”. E’ lo stesso atteggiamento che dimostrano di fronte alla natura, ringraziano per il pescato poi sempre composti indietreggiano a capo chino dinanzi allo tsunami, omaggiano il Dio delle terme ma rispettosi si tengono distanti dalla bocca del monte, non per codardia ma per umiltà.
Poco più a Nord, a solo due giorni di bicicletta dal fumo di questo cratere, l’uomo a provato settanta anni fa a competere con la natura. E’ Nagasaki, dove un uomo in divisa si è arrogato il diritto di farsi terremoto e vulcano per punire con mano oltremodo dura altri uomini senza elmetto.
Davanti al vuoto di quella eruzione atomica mi sono inchinato insieme a migliaia di altri uomini. Questo inchino è un messaggio fraterno, significa “scusate non lo farò più”.