Ricordo questo ragazzo colombiano di nome Daniel, perché mi colpì la sua barbetta curata e una bella fotocamera Canon, entrambi dettagli non comuni in questo paese, dove le facce sono quasi sempre imberbi e le Canon sono sempre al collo di un turista gringo o tedesco.
Grazie di visitare il mio paese, ci disse dopo aver fatto una foto insieme. Io rimasi per un attimo senza parole.
Di solito per me è più naturale ringraziare per l’accoglienza, piuttosto che rispondere che il piacere è tutto nostro, che il suo paese ci accoglie ogni giorno a braccia aperte e con un bel sorriso.
Eravamo nella piazza principale di un bel paesino inerpicato nelle montagne, fermi a divorare il pranzo al sacco a metà di una tappa particolarmente impegnativa, di oltre 100 km. Me la ricordo perché in salita avevo finito l’acqua ed è una bruttissima sensazione, rimanere senza le cose che diamo più per scontato.
Era un luogo tipicamente colombiano, a metà tra piazza e parco, con aiuole molto verdi su cui si affaccia la cattedrale. C’era però un grande albero al centro, una ceiba secolare, enorme, dai lunghi rami che quasi orizzontali e a pochi metri da terra arrivavano a coprire quasi tutta la piazza, come un grande ombrello.
Daniel ci raccontò che il portentoso albero si era seccato qualche decennio prima, e sembrava destinato a morire. Questo fu durante la guerra, ovvero i conflitti tra le FARC e il governo. Poi si raggiunse la pace e anche l’anima secolare della Ceiba, come fosse fatta della stessa carne dei campesinos, tornò a reinverdirsi riportando la sua fresca ombra sulla piazza cittadina.
Non so quanta parte di questa leggenda sia vera, ma a me piace crederci, perché mi ricorda l’entusiasmo degli occhi di Daniel quando ci diceva che il suo paese sta rinascendo, ce la sta mettendo tutta ed è importante che stranieri come noi ne siano testimoni e messaggeri per quando torneranno alle loro case.
Forse Daniel non era un colombiano qualunque, e certo attraverso l’obiettivo della sua fotocamera poteva mettere a fuoco le cose meglio di quanto potesse un campesino dagli occhi arrossati nel suo fazzoletto di terra in cima alle Ande. Ma lo stesso mi è venuto da fare il paragone col nostro Belpaese: quanti ragazzi della mia città, me incluso, ringrazierebbero un girovago sporco e sudato, mentre bivacca in Piazza del Popolo? Quanti parlerebbero del loro paese con un entusiasmo da fargli brillare gli occhi?
Non lo so, davvero non saprei dirlo, perciò la segno come una lezione imparata. Quindi grazie a te, Colombia!