Sono seduto quasi per terra, in seggiolini più adatti alle bambole che agli uomini, sorseggio un caffè forte, una miscela Robusta delle colline del Tonchino.
E’ domenica e anche in questa parte di mondo le scuole sono chiuse e così il dono più grande lo riceve la città. Hanoi si riempie di bambini, oggi non in divisa ma ancora in pigiama, giocano, inseguono i cani, salutano noi viaggiatori e ridono insieme ai lori genitori in una atmosfera che può ricordare il brio degli anni sessanta italiani.
Poche ore al giorno un raggio di sole vince la cortina perennemente grigia delle nuvole e la luce cambia, Hanoi diventa bizzarramente magica. Il vecchio quartiere, dove anche noi abbiamo trovato alloggio nell’attesa di ricevere il visto cinese è così esageratamente pieno di vita da essere stancante. E’ un dedalo di strade strette ma trafficate, dove il commercio è ancora suddiviso per tipologia di merce in vendita, così la via delle scarpe, il vicolo della seta, l’angolo dell’oro, il boulevard delle ferramente. Ogni metro di marciapiede è un ristorantino a cielo aperto, così poco igienico, così irresistibile. I turisti ancora non riescono ad attraversare le strade dove senza semafori sembra governare l’anarchia, ma a guardarci bene tutto funziona, tutto scorre liscio.
Il vecchio Ho Chi Minh è bell’imbalsamato nel suo mausoleo di stile sovietico e le sue bandiere comuniste stridono forte davanti al vietnamita moderno, intento come ovunque a guadagnarsi prima da vivere poi un briciolo di ricchezza.
La vita di campagna in questa frenesia di città risulta lontana, la bicicletta è diventata scooter e la capanna in bamboo ora è una brutta casa alta e strettissima, ma il benessere lentamente arriva e il futuro a suo modo bussa alle porte delle capitale.
La Storia, quella dei libri e quella quotidiana corre più veloce anche di noi che la studiamo e la viviamo. La famosa guerra, quella dei Vietcong è relegata in un museo e gli americani usciti perdenti, rientrano da amici con le loro fabbriche e i nostri dollari. E allora ancora una volta mi pongo quella stupida domanda: ma ne valeva veramente la pena di spararci gli uni contro gli altri?
Alcuni bimbi curiosi si avvicinano, aspettano che metta giù la penna, poi mi prendono per mano e mi portano a giocare..