Entro in California da Nord, spinto da una brezza che pare arrivare dall’Alaska. Fiancheggio l’oceano e lo guardo dall’alto, su scogliere a picco come bastioni di un fortino, il cui ponte levatoio e’ una lingua di sabbia gialla e nera costellata di surfisti.
La California mi disorienta tra stupendi parchi naturali e illogiche autostrade a otto corsie. Mi sento pieno e in armonia su spiagge sterminate senza impronte umane, mentre percepisco un senso di vuoto in metropoli frenetiche, sotto il Golden Gate di San Francisco o a pochi passi da Hollywood nell’infinita Los Angeles. Nel caos di quelle citta’ costruite per l’auto e non per la persona sono un passante ignorato. Ognuno scivola veloce su pick up esagerati, sulla via del miraggio di un successo costellato di dollari ma dalla poca poesia.
How is it going? Mi chiedono. Cordialita’ distaccata. Non si ha tempo di pronunciare la risposta e quel going, quel come sta andando, suona come un gong di fine rapporto. Lo scambio che realmente piace e’ quello commerciale.
La natura e’ meravigliosamente maestosa da far quasi comprendere il perche’ di una cosi’ prepotente autostima del popolo degli States. In cento chilometri soltanto, incontri il mare, la pianura fertile, le montagne innevate e poi il deserto. La Madre Terra in questa soleggiata e sognata America sembra offrirti quell tutto completo fatta di ecosistemi differenti uno intrecciato all’altro.
Ecosistemi vicini che non si pestano i piedi. Se ci guardiamo bene ci accorgiamo che la montagna non vuole prevalare sulla pianura, il mare non vuole oltraggiare la spiaggia, il deserto non vuole espandersi nella foresta.
Forse ancora una volta, noi tutti americani, dovremmo imparare dalla Natura.
Si puo’ stare tutti vicini, senza prevaricare l’altro, ma solo cercando di conoscerci.