Entrando in Messico sapevo di andare incontro a una cultura latina, con una forte influenza spagnola e cattolica.
Quando sbarcai in Giappone ero certo di entrare in un mondo ordinato e sicuro, in cui la modernità conviveva con tradizioni millenarie. In molti dei paesi a cui ho bussato alla porta avevo un’idea di cosa aspettarmi.
Varcando la soglia poi mi lasciavo il piacere di scoprire i dettagli e a volte di stravolgere completamente quello che pensavo di sapere. È divertente farsi un’idea prima di partire, ricca di aspettative, a volte di luoghi comuni e spesso solo di sentito dire.
Tutto questo non avvenne quando entrai in Belize. Non ne sapevo niente, per mia ignoranza. Poche volte quella parola “Belize” era inciampata per caso in un discorso fra amici. Anche la TV o i giornali raramente la nominano. Non è così? Per caso voi ne conoscete il nome della capitale? O quale sia la sua moneta? O la sua lingua ufficiale?
Io quasi ignoravo anche l’esistenza di questa piccola Basilicata del Mondo.
Già in frontiera uno shock culturale: dopo mesi di spagnolo, qui le guardie mi hanno accolto parlando un inglese non pulito ma veloce, derivazione di mille slang e pronunce non londinesi. Ho cambiato gli ultimi Pesos messicani con Dollari del Belize, plastificati e cari. Su una mappa al border l’ho scoperto piccolo come la Toscana e poco popolato, pari agli abitanti di Firenze.
Già dalle prime ore in sella mi sono ritrovato catapultato in un set di un film ambientato nel ‘800, forse Django di Tarantino, tra la Louisiana e l’Alabama. Quei film sullo schiavismo nero nelle piantagioni di tabacco e cotone. E così è stato. In Belize gli inglesi più di duecento anni fa hanno portato i primi schiavi dall’Africa per coltivare specialmente la canna da zucchero. Ora non è più Colonia della Corona, ma le genti d’Africa sono rimaste e con loro le tradizioni del grande continente.
Anche l’emblema al centro della bandiera raffigura un uomo bianco che regge uno scudo con un uomo nero.
Il Belize delle città è un paese semi moderno, che fa del suo motto l’integrazione sociale. Questo melting pot colorato come un arcobaleno appare quasi un esperimento di ingegneria sociale, ma invece è solo il frutto casuale della storia.
I locali Maya vivono ancora in villaggi tradizionali gomito a gomito con i Creoli, i Mestizi, i Garifuna. La comunità cinese gestisce egregiamente i supermercati mentre gli indiani una volta lavoratori dei campi, ora guidano i taxi, proprio come a Londra. I Mennoniti, simpaticamente anacronistici continuano a muoversi a cavallo così come i bianchi in sfreccianti jeep.
Anche io non sembro straniero in questa terra veramente di tutti. Ma non è la mia casa così con qualche nozione in più pedalo veloce e sono giá in Guatemala.
Ah, la capitale del Belize?
È Belmopan, ma si vive bene anche senza saperlo!