La multietnicità di Vancouver regala l’aria di una Babilonia del futuro. In questa fredda Babele mi giunge all’orecchio la lingua cinese o forse vietnamita, suoni coreani o forse giapponesi, poi il greco e lo spagnolo e il portoghese.
Il tassista col turbante è ovviamente indiano e il muratore iraniano nella casa affianco impreca in farsi. Chi mi serve il vino è un barista brasiliano e l’oste calabrese mi offre un espresso per parlare un po’ in italiano.
Le strade assumono il gusto di una ricetta fusion condita con spezie da tutto il mondo. Le montagne attorno racchiudono un quadro divisionista. Infiniti tasselli foggiano un mosaico armonioso, se guardato da lontano, intricato e non ultimato quando ti avvicini.
Vancouver è l’animo instabile di una donna sudamericana, la risata contagiosa di una ragazza filippina, la sana pazzia di un artista francese, l’educata allegria di un signore inglese.
Vedo qui le tante sfaccettature di una pietra non rara ma preziosa. Vedo un popolo giovane, orfano della millenaria storia d’Europa, a volte confuso, ma anche alla ricerca di soluzioni nuove.
Canada con tanta Asia che si rende speciale per la sua poliglotta e multiculturale diversità.
Un esempio di convivenza agli albori, nel lungo cammino dell’integrazione completa.
Nella Genesi si narra che Dio a Babilonia confuse gli uomini con l’introduzione delle diverse lingue. In questa torre di Babele moderna l’uomo sfida il futuro. Inverte la storia o forse la precede. Con fatica e sicuramente volontà tutti possono comunicare in un solo idioma.
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