Sono scalzo e le dita dei piedi giocano con la sabbia tiepida e ocra del deserto. Le mie mani sono nere, sporche di catena e polvere, mani abbronzate di nomade in viaggio. Davanti agli occhi una distesa piatta e infinita di ostinati ciuffi d’erba sul terreno più arido e desolante che abbia mai incontrato.
Sono in Mongolia. E’ il mio primo giorno da ospite in questa nazione disabitata dove i cavalli e i cammelli sembrano esserne i padroni. Un vento forte e costante soffia da Nord-Est, gli alberi non crescono e pochi uomini si proteggono nelle yurte. E in questa bellissima tenda circolare, dalle pareti di tela e lana, anche noi pernotteremo accolti da una generosa famiglia di pastori.
La linea ferroviaria mongola della transiberiana è la nostra bussola: Nord Russia, Sud Cina. Una arena con spalti in ferro, dove nei giorni di festa uomini a cavallo si daranno battaglia, è l’unico segno di civiltà nell’arco di miglia.
Biambirt, il ragazzino che vive qui nella steppa, rincorre il fratellino giocando ai soldati con un fucile ad acqua. Ironia beffarda, l’acqua manca anche per lavarsi figuriamoci per giocare. Naran, la sorella maggiore è nella yurta ad impastare farina con latte, aspettando per la cena i genitori, impegnati chissà dove a pascolare le pecore.
In frontiera abbiamo fatto il pieno alle taniche d’acqua e riempito colme le sacche di cibo. Siamo pronti per il deserto. Che il vento sia con noi, che la strada sia liscia e che qua e là ci sia un oasi. Solo questo ti chiedo Dio dei viandanti. Il resto sembra ci sia già tutto.
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