Spensierati e con il vento a favore, dopo aver pedalato nelle vallate del Kurdistan turco, entriamo in Iran. La prima regione persiana dopo il confine di Bazargan è l’Azerbaijan orientale. Il clima è subito diverso, qui è già estate, l’aria è calda e secca e il segno della maglietta è buffo sulla nostra pelle.
La vegetazione non è più verde e rigogliosa come nell’altipiano turco di Erzurum, il colore dominante è il giallo delle rocce e della terra. I primi villaggi che incontriamo sono poveri, fatti di nulla, case di fango letame e fieno, qualche pastore, bambini dagli occhi neri che ridono, donne nascoste all’ombra dei loro veli, un solo alimentari con più polvere che mercanzie. Senza saperlo ci ritroviamo a percorrere in bicicletta la leggendaria via della seta. Ora purtroppo le carovane di cavalli, cammelli e muli sono un via vai rumoroso di vecchi camion, i piccoli bazar a bordo strada si sono trasformati in autorimesse, le oasi d’acqua in benzinai che offrono carburante a basso costo.
La strada che ci conduce verso Teheran è bella, alterna basse montagne a sterminate zone quasi desertiche. La gente è più scura, il sole si fa sentire, il Farsi è difficile per noi e la comunicazione diventa sempre più gestuale. I loro occhi spesso verdi che risaltano vicino ai capelli mori ci indirizzano verso la strada giusta. Il cibo è semplice, quasi sempre riso bianco accompagnato da un po’ di pollo. L’acqua ha un sapore diverso, si sente che viene da lontano, qui è il bene più prezioso e costa più del petrolio. Le citta quali Tabriz, Zanjan e Teheran sembrano lontane secoli dai villaggi dell’entroterra persiano. La modernità è arrivata in città: centri commerciali, fast food, ambasciate. Mi viene difficile dire cosa sia meglio tra un antico borgo fuori dal tempo e una metropoli che dimentica il proprio passato per inseguire un capitalismo non suo.
Una sosta forzata ci tiene bloccati nella capitale per aspettare i visti del Turkmenistan e Uzbekistan. Girovaghiamo alla ricerca delle meraviglie persiane, rimaniamo emozionati davanti ai ponti di Esfahan, nel dedalo di portici del bazar di Shiraz, tra le rovine della fantastica Persepolis, nei colonnati di moschee immense. Adesso Ravenna è lontana cinquemila chilometri, il viaggio è vero dopo tre mesi di strada, ci sembra di viaggiare indietro nel tempo e inevitabilmente ci perdiamo.
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